Mille Vignes, riflessioni sul vino di domani (e su questo blog)

Non sono nata nel mondo del vino e quando ho letto le prime pagine di Mille Vignes mi sono sentita molto vicina a Pascaline Lepeltier. Lungi da me accostarmi al suo percorso, e soprattutto ai suoi successi (anche perché io sono solo all’inizio di questa avventura), ma ho sentito una certa affinità con il suo percorso di crisi e di rinascita attraverso il vino, frammenti che mi hanno fatto innamorare della sua opera, in una continua sete di conoscenza che sicuramente ci accomuna.

Pascaline Lepeltier, classe 1981, dopo un interessante percorso di riconversione nel mondo del vino ha ottenuto il doppio riconoscimento nel 2018 di Miglior Sommelier di Francia e Meilleur Ouvrier de France (acquisizione di un’alta qualifica nell’esercizio dell’attività professionale, simbolo di eccellenza,) nella sezione Sommellerie portando una ventata di freschezza in un mondo spesso troppo ancorato alle proprie certezze (e di certo non è l’unico). 

Il suo approccio multidisciplinare, il suo percorso universitario in filosofia, la crisi e la rinascita attraverso il vino, ci raccontano molto più, passatemi il parallelo, di una semplice degustazione e ci permettono di apprezzare il vino nelle sue sfumature più complesse e diverse.

Il vino non è e non deve diventare un esercizio stilistico, di sentori e sfumature, ma un motore continuo di meraviglia, nelle storie, nelle tradizioni e nelle intenzioni dell’essere umano. Condividere il gusto di ciò che è vivo e in continua trasformazione, ma allo stesso tempo riflesso di quello che siamo.

Disponibile al momento solamente in francese (ma la traduzione in inglese non dovrebbe tardare), Mille Vignes è un libro che parte dell’origine della vite come pianta, ma anche come esempio di adattamento incredibile alla vita. 

Mille Vignes: un approccio filosofico e pieno di senso al vino

Ecco, nel mio percorso di studi (e di rinascita) proprio scoprire questi piccoli, grandi dettagli, mi ha permesso di dare forma e dimensione a molte idee, di capire determinati concetti: un orizzonte più vasto utile per poi proseguire il viaggio tra storia, biologia, arte, architettura, geologia e ovviamente la parte più tecnica della degustazione del vino.

Un calice di vino, anche in maniera inconsapevole, puo’ cambiare una vita: per Pascaline è stato un Yquem 1937, personalmente un Amarone della Valpolicella quando ancora non conoscevo assolutamente nulla di questo mondo (non ricordo né la cantina, né l’annata, all’epoca si trattava del mio primo calice alla veneranda età di anni 24 e non avevo percezione alcuna, se non quella di una sorpresa inattesa).

Forse il vino, per la sua stessa essenza, per la capacità di resistenza della vite, per la sua forza di adattamento, puo’ rappresentare davvero un punto di ripartenza dopo una crisi: alla fine questo universo è sopravvissuto alle emergenze più dure, attraverso lo studio e forse anche un po’ d’incoscienza, intesa come capacità di vedere oltre.

Visto il cambiamento climatico in corso, le difficoltà economiche, le sfide legate alla salute dei produttori e dei consumatori, mi trovo perfettamente in linea con la riflessione di Pascaline che apre il libro: “Rimettendo in questione la nostra visione del mondo, che si basa su una condivisione fondamentale tra natura e cultura, abbiamo forse la possibilità d’inventare nuovi rapporti con la vite e con l’ecosistema che ci circonda, trovando soluzioni alle crisi ecologiche presenti e future”.

Una lettura da non perdere, sia per chi muove i primi passi nel mondo del vino, sia per chi ha un’esperienza diretta e vuole allargare i propri orizzonti. Grazie al mio amico, e produttore, JB per avermelo consigliato. 

Spero che questo blog possa avere, almeno nelle sue intenzioni, un quarto dell’energia che emana il libro di Pascaline o almeno un approccio di meraviglia di fronte alle storie enoiche che affrontero’.

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P.S. Il voto è al trasporto del libro, che purtroppo qualcuno si è ritrovato rovinato. A me è arrivato perfetto per fortuna.

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