La mia percezione del mondo agronomico, e non solo del comparto del vino, è stata radicalmente trasformata nell’ultimo anno dalla lettura di “Mille Vignes” di Pascaline Lepeltier, libro che regala una prospettiva filosofica e umana della terra.
L’esperienza diretta in cantina, come professionista della comunicazione, ha accelerato questo processo di consapevolezza nei confronti del vino, intensificato poi ulteriormente dagli incontri recenti che hanno completato un importante ciclo di riflessione.
Questo bisogno di approfondimento culturale e conoscenza dei processi ha trovato una direzione chiara, che origina dalla terra e abbraccia tutte le problematiche legate alla sua coltivazione. Recentemente, al Vinitaly, ho partecipato alla Masterclass “Suoli e Cantina, la Biodinamica”, dedicata alle risposte alle nuove tendenze climatiche.
Partiamo dai numeri: in Italia il 28% dei terreni coltivabili è andato perso. Perso non perché si sia scelto di destinarlo ad altro, ma semplicemente perché è stato spremuto, maltrattato, utilizzando processi invasivi che se da una parte hanno permesso di ottenere quantità e sicurezza, dall’altra hanno spogliato il terreno delle sue qualità intrinseche.
Una prima risposta a queste problematiche, all’interno del blog, l’avevamo data con la condivisione del PROGETTO ZEI, protocollo che oltrepassa anche il biologico facendo uso di sostanze naturali, le quali non hanno le controindicazioni che possono avere il rame (che rimane un metallo) e lo zolfo. Uno studio molto importante e che puo’ andare di pari passo con la cura e la stimolazione del terreno in biodinamica.
Vino: la biodinamica analizzata sotto la lente d’ingradimento
Qui vorrei fare una premessa, le parole che seguono sono scevre da ogni nota polemica e promosse dalla volontà di ottenere il meglio per l’essere umano e la natura, perché alla fine l’unica cosa che conta sono i risultati. In questo senso il tanto vituperato cornoletame, che porta con sé un immaginario mistico e magico, in realtà è stato ‘smascherato’ dalla scienza ed ha svelato i suoi processi, togliendo quel velo di mistero che lo rendeva attaccabile e misconosciuto.
Dopo una studio lungo quattro anni, e pubblicato sulla rivista scientifica «Environment, Development and Sustainability» del gruppo Springer, Michele Lorenzetti, enologo, biologo e co-autore della ricerca ha messo in evidenza i processi che rendono il cornoletame un vero e proprio alleato per la fertilizzazione del terreno.
Elemento chiave del processo è la cheratina, che viene metabolizzata da funghi già presenti nel rumine del bovino e che si trasferiscono nel letame.: «L’analisi del metabarcoding delle comunità batteriche e fungine durante la maturazione del preparato 500, utilizzato in agricoltura biodinamica, suggerisce un legame razionale tra corno e letame*».
Il metabarcoding rappresenta una tecnica avanzata di analisi del DNA, che permette l’identificazione simultanea di tutte le specie di funghi, batteri e altri microrganismi presenti in un dato campione. Questi funghi, decomponendo la cheratina, rilasciano frazioni proteiche che fungono da vero e proprio “invito a pranzo” per numerosi batteri nel suolo, luogo in cui viene sepolto il corno riempito di letame.
Attratti da queste sostanze, i batteri migrano attivamente all’interno del corno, alterandone la composizione chimica in pochi mesi.
Mentre nel letame fresco predominano i funghi e i batteri sono meno presenti, nel cornoletame si verifica il fenomeno opposto: si assiste a un’abbondanza e varietà di batteri, ciascuno con funzioni specifiche, come sottolinea Lorenzetti: «ci sono quelli che partecipano al ciclo della sostanza organica, che poi raggiunge una struttura più stabile ed evoluta quando diventa humus; ci sono quelli che promuovono il ciclo delle sostanze nutritive e dunque fosforo, potassio e azoto; ci sono quelli che risanano i terreni perché sono in grado di metabolizzare alcune sostanze “estranee”, come gli idrocarburi o alcuni elementi di sintesi».
L’attuale panorama scientifico si sta concentrando sempre più nel cercare e attuare pratiche agronomiche che possano dare un vero e proprio sollievo alla terra. Il limite più grande rimane quello mentale e parzialmente anche quello economico. Per questo la presa di coscienza, e prima di lei una più chiara e ampia comunicazione, sono alla base della salvaguardia delle coltivazioni.
In questo senso ci sono varie associazioni che si stanno muovendo in questa direzione, tra queste anche Vi.Te (Vignaioli e Territori) e tra queste pagine, a breve, potrete leggere un’intervista ad uno dei suoi volti ovvero Nat Colantonio della cantina Bossanova, con cui abbiamo analizzato le difficoltà che ancora incontrano i produttori ‘naturali’ e le sfide dell’associazione.
*per maggiore chiarezza tecnica, le parole di Lorenzetti sono state tratte dall’intervista rilasciata a Cinzia Scaffidi per Demeter